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L’importanza dell’integrità del DNA degli spermatozoi nell’infertilità maschile

Essenziale una indagine sulla qualità genomica degli spermatozoi

 
È noto da tempo che circa il 50% dei casi di infertilità di coppia è attribuibile al partner maschile. Nei Centri di riproduzione assistita, l’uomo potenzialmente infertile viene sottoposto a uno screening accurato che si basa essenzialmente sulla qualità del liquido seminale valutato secondo i parametri e gli standard dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO, 2010). L’analisi degli spermatozoi viene effettuata valutandone la concentrazione per millilitro e per volume totale di eiaculato, la motilità progressiva e la morfologia. In parallelo, indagini macroscopiche sull’aspetto e il volume dell’eiaculato, il pH, la presenza di agglutinazioni e di cellule tonde contribuiscono a dare indicazioni su possibili patologie andrologiche e quindi sullo stato generale di salute del partner maschile. Attualmente, questi parametri sembrano avere un limitato potenziale diagnostico in quanto si osservano fallimenti nella fecondazione sia naturale sia assistita anche in presenza di un liquido seminale con tutti i valori nella norma. Pertanto, risulta sempre più evidente la necessità di un’indagine approfondita sulla funzionalità degli spermatozoi e in particolare sulla loro integrità genomica.
 
Lo spermatozoo umano è una cellula altamente specializzata il cui compito, all’atto della fecondazione, è quello di trasmettere all’ovocita oltre al proprio patrimonio genetico, due centrioli e un fattore solubile detto “sperm factor”. Questi fattori contribuiscono in modo diverso all’attivazione dell’ovocita, alla formazione del centrosoma che assembla l‘aster e consente la migrazione dei pronuclei e le prime divisioni dello zigote promuovendo la formazione di un nuovo individuo della stessa specie. Uno spermatozoo maturo e in grado di fecondare ha una struttura costituita da una testa contenente il nucleo, un collo circondato dai mitocondri che forniscono l’energia per il movimento e una coda che ne consente la motilità, fattore indispensabile per interagire con l’ovocita e fecondarlo. A dare vita a uno spermatozoo maturo quindi in grado di fecondare è la spermatogenesi, un complesso processo di trasformazioni morfologiche e funzionali che nell’uomo iniziano alla pubertà e continuano per tutta la vita. Tra le modifiche che interessano il nucleo nella fase finale detta spermiogenesi ha un ruolo preminente la condensazione della cromatina che è un complesso di DNA e proteine. A livello molecolare la condensazione avviene perché le proteine presenti nel nucleo immaturo (istoni) vengono sostituite con le protamine, proteine basiche attorno cui si avvolge il filamento di DNA formando strutture stabili e organizzate dette toroidi. In questi ultimi il DNA nello spermatozoo è circa 6 volte più condensato del DNA di altre cellule e, complessivamente, l’intero processo genera la formazione di un nucleo altamente compatto e idrodinamico che consente allo spermatozoo di muoversi agilmente per raggiungere e fecondare l’ovocita. Il completo rimodellamento del nucleo grazie alla sostituzione degli istoni con le protamine garantisce inoltre una stabilità e una protezione del materiale genetico da possibili fattori mutageni e tossici. Una corretta condensazione della cromatina è associata alla maturazione dello spermatozoo e ha importanti implicazioni nella riuscita della fecondazione e nel corretto sviluppo embrionale.
 
Durante il processo di spermiogenesi il filamento di DNA va soggetto a frammentazione fisiologica che contribuisce ad agevolare il processo di rimodellamento del nucleo. Queste interruzioni nella catena del DNA vengono poi riparate da specifici enzimi in concomitanza col processo di condensazione cromatinica. Questi meccanismi biologici possono andare incontro a malfunzionamenti dovuti a diversi fattori come una parziale o mancata sostituzione degli istoni con le protamine oppure errori nella riparazione del filamento o interruzioni non fisiologiche del filamento del DNA. Tali alterazioni possono dare vita a un nucleo spermatico decondensato privo di quelle caratteristiche di stabilità che abbiamo descritto o a uno spermatozoo col DNA frammentato.
 
Appare quasi ovvio che una popolazione di spermatozoi con difetti nella condensazione della cromatina e/o con DNA frammentato abbia una ridotta capacità fecondante che può a sua volta andare a incidere negativamente sul normale iter riproduttivo. Numerosi studi scientifici degli ultimi decenni hanno infatti dimostrato una correlazione i tra difetti dell’integrità del DNA e l’infertilità maschile con un impatto sullo sviluppo e impianto embrionale, la riuscita della fecondazione in vitro e le interruzioni precoci della gravidanza. Anche nei concepimenti naturali, numerosi studi hanno dimostrato una correlazione tra la frammentazione spermatica e l’allungamento dei tempi o la mancanza di ottenimento della gravidanza.
 
Per evidenziare in una popolazione di spermatozoi i danni al DNA, siano essi la decondensazione o la frammentazione, sono stati messi a punto diversi test ciascuno con i suoi pro e contro. Per la frammentazione il test classico è la TUNEL che quantifica l’incorporazione dUTP (sonde marcate a fluorescenza) nei tagli della doppia elica con una reazione catalizzata da enzimi.
 
Valide alternative alla TUNEL sono due test di più recente acquisizione, la SCSA e l’SCD. Il primo si effettua con la denaturazione con acidi della cromatina e la successiva colorazione con l’arancio di acridina che si accumula nelle zone di interruzione emettendo luce rossa in fluorescenza. L’SCD, meglio noto come Halo test, mostra una maggiore sensibilità rispetto alla TUNEL ed è di facile lettura al microscopio ottico. La sua esecuzione si basa sulla denaturazione e deproteinizzazione del DNA che si disperde formando aloni di diversa grandezza a seconda del grado di frammentazione. Tutti i test presentano vantaggi e svantaggi. L’SCD consente una lettura oggettiva degli aloni e inoltre non è legato ai problemi del decadimento della fluorescenza. Per contro va effettuato su seme fresco mentre la TUNEL si può effettuare su seme fissato. Un’altra tecnica complessa è la COMET: consiste nella migrazione del DNA frammentato dopo denaturazione verso il polo positivo di una cameretta da elettroforesi che lascia una scia simile alla coda di una cometa la cui lunghezza è proporzionale al grado di frammentazione. Questa tecnica ha il vantaggio di evidenziare rotture nel singolo filamento di DNA ma l’interpretazione dei dati è legata a un software complesso che richiede grande esperienza tecnica.
 
Il grado di condensazione della cromatina dello spermatozoo può essere valutato con dei test in grado di individuare spermatozoi in cui il rapporto istoni/protamine è alterato andando a evidenziare gli istoni residui nel processo di spermiogenesi. Tra questi il più accreditato è senz’altro il test al blu di anilina che si basa sull’alta affinità di questo colorante con gli istoni ed è di facile esecuzione. Va detto che circa il 15% degli istoni permane anche in una spermiogenesi fisiologica, per cui con questo test uno spermatozoo con cromatina normalmente condensata appare di un celeste pallido mentre una cromatina parzialmente condensata appare in parte celeste e in parte blu, infine la totale decondensazione si evidenzia in uno spermatozoo colorato di un blu carico.
 
In alternativa al blu di anilina si può effettuare il test con la cromomicina (CMA3), un antibiotico/fluorocromo che compete con le protamine. Uno spermatozoo CMA3 positivo indica pertanto un deficit di protamine. Tra gli svantaggi di tale tecnica ci sono lunghi tempi di esecuzione, il decadimento della fluorescenza e una provata sottostima dei risultati.
 
Appare chiaro che la scelta delle tecniche da utilizzare si basa su diversi fattori. Tra questi la facilità di esecuzione e il costo delle apparecchiature e dei KIT svolgono un ruolo a seconda del laboratorio in cui si eseguono. Un fattore importante è sicuramente la riproducibilità dei risultati che dipende in massima parte dall’occhio dell’operatore esperto. L’esecuzione e la lettura dei test è soggettiva e può rappresentare un fattore di variabilità nonché fonte di errore. È pertanto raccomandabile per la ripetibilità dei risultati che i test vengano eseguiti dallo stesso operatore che conti il maggior numero di cellule effettuando, se possibile, più replicati soprattutto nei casi dubbi. Ciò può consentire una oggettività dei dati e una standardizzazione intra- e interlaboratori.
 
Da un punto di vista eziologico, le anomalie descritte sono state correlate a diversi fattori fisiologici e patologici. L’età dell’uomo gioca un ruolo fondamentale, infatti superati i 50 anni il maschio va incontro a modifiche morfologiche e funzionali dei testicoli il cui volume si riduce così come diminuisce il numero delle cellule coinvolte nella spermatogenesi. Anche i cambiamenti vascolari contribuiscono a ridurre il volume dell’eiaculato. Un’età avanzata è stata correlata a un’alta percentuale di DNA frammentato, ma anche gli stili di vita errati come obesità, fumo e consumo di droghe o le patologie professionali, come l’esposizione della zona genitale al calore, incidono notevolmente. Tra le cause patologiche, rivestono un importante ruolo nel procurare danni all’integrità del DNA spermatico le terapie gonadiche e oncologiche, il varicocele e le infezioni della sfera genitale, l’incremento dei leucociti ma anche l’esposizione prolungata alla tossicità ambientale.
 
Nonostante le cause siano molteplici, è riportato che queste agiscono attraverso due meccanismi biologici fondamentali, l’apoptosi o morte cellulare programmata e lo stress ossidativo dovuto alla formazione di radicali liberi meglio noti come ROS (dall’inglese Reactive Oxigen Species). Questi ultimi sono generati, oltre che dalle cause esogene sopra descritte, anche da alcune endogene come dai mitocondri stessi degli spermatozoi o dalle tecniche di preparazione in vitro degli spermatozoi da utilizzare per tecniche di riproduzione assistita. I ROS sono maggiormente responsabili dei tagli nel singolo filamento e possono causare danni alla membrana plasmatica e ossidazione delle basi che compongono la catena del DNA che destabilizzandone la struttura ne generano interruzioni. Gli spermatozoi sono il frutto di processi di proliferazione e differenziamento continui, è quindi evidente che nel tempo sono sempre più sottoposti a stress e a danni ossidativi anche in considerazione del sempre crescente inquinamento ambientale e dell’abbassamento delle difese antiossidanti dell’individuo. Il coinvolgimento dell’apoptosi è supportata da numerosi dati sperimentali che hanno mostrato la presenza dei marcatori di apoptosi nei liquidi seminali oligo-asteno-teratozoospermici (AOT).
 
Negli ultimi anni numerosi studi hanno correlato i danni al DNA con gli esiti riproduttivi sia nelle coppie fertili sia in quelle che afferiscono ai Centri di riproduzione assistita. Nelle prime si è riscontrato un tasso di gravidanze inferiore se in presenza di un liquido seminale con danni al DNA. Nelle stesse condizioni il tasso di gravidanze a termine risulta più basso anche nella fecondazione in vitro tradizionale (FIVET). Recenti metanalisi hanno riscontrato simile correlazione anche dopo applicazione della tecnica di microiniezione dello spermatozoo nell‘ovocita (ICSI).
 
È sempre più evidente nella letteratura scientifica l’importanza dell’effetto paterno sullo sviluppo embrionale e l‘ottenimento della gravidanza a termine. Ciò ha indotto da tempo a cercare di identificare nuovi, affidabili e oggettivi marcatori della funzionalità spermatica da associare allo spermiogramma tradizionale. Ma se i parametri valutati in quest’ultimo si riferiscono a valori normati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, non altrettanto si può dire per i parametri di decondensazione della cromatina e frammentazione del DNA. Ne consegue che per attribuire a questi parametri un valore soglia diagnostico e predittivo della fertilità di un liquido seminale ci si basa sui numerosi studi statistici e comparativi degli ultimi anni che stabiliscono che un eiaculato normale non debba contenere più del 30% di spermatozoi portatori di tali anomalie del DNA. Dati statistici indicano che una popolazione di spermatozoi con più del 30% di danni al DNA può impedire o ostacolare la gravidanza naturale ma anche che in caso di ottenimento della stessa può indurre uno sviluppo fetale anormale e anomalie nella prole.
 
Benché l’applicazione della ICSI nei Centri di procreazione assistita abbia consentito la riuscita della fecondazione con quasi tutte le tipologie di spermatozoi, le percentuali di gravidanza si aggirano ancora intorno al 40% in tutto il mondo. Ciò ha portato a concludere che la capacità fecondante di uno spermatozoo è anche strettamente correlata alla sua qualità. Lo screening della qualità del seme resta pertanto una pietra miliare nella diagnostica del maschio infertile, a cui si aggiunge l’utilità dei test di integrità del DNA spermatico come valore aggiunto per implementare lo studio dell’ipofertilità maschile. L’associazione di questi test con lo spermiogramma tradizionale può contribuire a disegnare un profilo della qualità del liquido seminale ed essere di supporto alla gestione della coppia infertile.
 
I danni al DNA, infine, possono essere marcatori di possibili rischi di eventi riproduttivi avversi come le anomalie embrionali/fetali e l’abortività ricorrente.
 
Tra i limiti di queste procedure si annoverano una variabilità intra- e interlaboratorio dovuta alla tecnica utilizzata e all’esperienza dell’operatore, il fatto che queste hanno un valore indicativo ma non predittivo del successo riproduttivo e, infine, che non possono fornire un quadro completo delle possibili cause di ipofertilità come l’identificazione di altre anomalie genetiche. Per aggirare o superare tali limiti risulta indispensabile una rigorosa aderenza ai protocolli, la standardizzazione delle tecniche, il training del personale, i controlli di qualità sul laboratorio e sui materiali usati e l’efficienza e calibrazione di tutta la strumentazione.

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