L’ovodonazione è quella tecnica medica che consente alle donne, che per poter avere un figlio non possono
utilizzare i propri ovociti, di ricorrere al dono degli ovociti di un’altra donna. La blastocisti che si
determinerà dall’incontro tra l’ovocita donato e il seme del proprio partner sarà impiantata nella donna che
desidera un figlio, la quale porterà avanti la gravidanza contribuendo in tal modo alla crescita del feto.
Ma quanto è potente l’esperienza della gravidanza nella determinazione degli aspetti che andranno a
delineare le caratteristiche di quell’embrioncino?
Parlare alle coppie, che decidono di affrontare un percorso di ovodonazione, del rapporto tra genetica e
ambiente è fondamentale ai fini della comprensione di ciò che si appresteranno a vivere, oltre che
determinante per operare una riflessione sui timori più frequenti che affliggono le donne e le coppie:
amerò il bambino come se fosse mio? Mi assomiglierà?
L’epigenetica, branca della biologia che studia l’esistenza di cambiamenti ereditabili nell’espressione dei
geni senza che si osservi, tuttavia, una modifica della struttura del DNA, ci mostra quanto l’ambiente sia
determinante nell’attivare o disattivare tali geni. Rispetto all’ovodonazione, dunque, per un fenomeno
epigenetico, la relazione che si viene ad instaurare tra l’ambiente uterino della futura madre e la blastocisti
impiantata permette la modificazione dell’imprinting originario di quell’ovocita donato. Pertanto, anche in
assenza di un legame biologico tra madre e figlio, grazie all’esperienza della gravidanza, che è fortemente
impattante tanto per la donna che la vive quanto per il bambino che nascerà, il legame fisico e
psicoemotivo che si verrà ad instaurare tra la madre e il feto contribuirà alla modificazione dell’attività e
dell’espressione del genoma nonché allo sviluppo delle caratteristiche di quel bambino.